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L'arcipelago delle Faroer, il cui nome, derivante dall'antico norvegese-vichingo "Faar oy" , significa "isole delle pecore, è una nazione formata da un insieme di isole stagliate nell'atlantico, ed è uno dei paesi nordici più remoti. Come i cocci di un vaso caduto a terra, le Faroer sono composte da 18 pezzi di isole frastagliate e connesse tra loro da ponti, traghetti, elicotteri e tunnel, e regalano un paesaggio tanto drammatico tanto quello islandese, ma condensato in uno spazio minimale. Strade perfette abbracciano le montagne, cascate impetuose si tuffano direttamente nell'oceano e montagne brulle adornano una terra bagnata da piogge e venti incessanti per ben 260 giorni all'anno. Tempeste imponenti squassano la costa e si abbattono sulle pareti di basalto che si ergono dal mare come fortezze abbandonate; qui dimorano migliaia di uccelli marini, che, con il loro stridire, interrompono il silenzio della solitudine e il costante sibilo del vento. Da queste terre nacquero le leggende dei Grigi, della donna foca Selkie ed altre favole che si intrecciano alla realtà in maniera inquietante. Da un'isola all'altra il paesaggio va a ricordare un quadro di Turner, dove l'essere umano diventa una figura insignificante nei confronti della natura, ed è destinato a perire. L'isolamento dal resto dal mondo si nota nei visi segnati dal vento e dalle intemperie, e pochi sorrisi, sebbene un'educata gentilezza, accolgono il visitatore incerto. Mario Vidor nel suo libro ha caparbiamente deciso di rappresentare in bianco e nero una terra dalle mille sfumature di verde, volendo sottolineare i contrasti di colori in un modo drammatico, quasi a catturare l'essenza stessa dell'isola.